domenica 17 dicembre 2017

Amici e idee

C'è chi va in montagna in cerca del silenzio. Erling Kagge è un esploratore norvegese che ha raggiunto la cima dell'Everest, il Polo Nord e poi il Polo Sud in solitaria, dopo 55 giorni di marcia sui ghiacci dell'Antartide. Ha raccolto le sue riflessioni sul silenzio in un libro. Tonino ce ne parlerà in una prossima serata.
C'è chi va in montagna per fare chiasso. Tre teste rasate salgono il monte Kenya, emulando le gesta dei tre prigionieri italiani che nel 1943 evasero da un campo di prigionia britannico per compiere questa salita; di ritorno dalla cima i tre Lupi delle Vette (così si autodefiniscono le teste rasate) hanno regalato un gagliardetto all'ambasciatore italiano dopo aver "issato il Tricolore affinché tornasse fieramente a sventolare lì dove lo avevano portato quegli eroi della nostra grande e amata Patria". Chi ha letto il libro può capire quanto questa frase mistifichi il senso dell'avventura dei primi tre salitori: erano alpinisti che sognarono e realizzarono quella salita, nonostante le immaginabili difficoltà, per sfuggire all'inedia del campo di prigionia e per amore della montagna e dell'ignoto. Mai si avverte un filo di retorica nel loro racconto. Nazzareno sta seguendo la piccola baruffa da piccola Italia che anima i giornali. Un ottimo spunto per leggere o rileggere un classico della letteratura di montagna, ancora ristampato settanta anni dopo la prima pubblicazione.
Avevo già parlato di questi due libri su un mio post dello scorso luglio.
Silvia ci racconta di una interessante intervista televisiva di Hervé Barmasse che racconta di un tentativo ad un Ottomila fallito a tre (!) metri dalla cima. Nonostante la beffa non si deve rischiare oltre il lecito. Arturo ha letto di una analoga rinuncia raccontata in un libro di Tamara Lunger e uno di Nives Meroi; ha ritrovato anche altri interessanti filmati e interviste. Ottimo materiale per una prossima serata.
Sono gli amici e le loro buone idee che ci permettono di continuare in modo eccellente con la nostra biblioteca.

martedì 21 novembre 2017

Stili di comunicazione

Ritorno brevemente sulla serata dedicata a Massimo Mila per fare alcune considerazioni, in parte condivise con i soci e amici che erano presenti.
La partecipazione è stata inferiore ad altre serate. Vero, ma non è che fossimo proprio pochi, non eravamo certo al minimo. C’era in contemporanea la partita in casa del Frosinone e più di qualcuno ha preferito lo stadio. Probabilmente la serata non era molto accattivante. Non c’è dubbio che serate che raccontano di imprese spettacolari con relativa proiezione di immagini siano più attraenti per i nostri soci e simpatizzanti. Questa serata dedicata a Mila mi girava in testa da tempo e sono riuscita a realizzarla grazie all’apporto di Silvia e Nazzareno che hanno trattato il nostro personaggio da diversi punti di vista: le tre voci differenti hanno reso l’esposizione più varia. In conclusione, non mi sono certo pentito di aver portato avanti questa mia idea. I temi trattati, a volte impegnativi e mai banali, hanno richiesto attenzione e concentrazione, lo capisco da me. C’era bisogno di leggere alcuni passi e di rifletterci su per provare a illuminare almeno per un attimo le tante sfaccettature di questo intellettuale e alpinista. Penso però che ne sia valsa la pena.
Siamo ormai abituati a un tipo di comunicazione veloce e di impatto visivo: guardiamo sempre più spesso immagini sui social e leggiamo sempre meno articoli di fondo sui quotidiani. Il tempo necessario a leggere il giornale è diventato un lusso. È vero che a volte una fotografia ben fatta vale più di una lunga descrizione a parole, però è anche vero che quando a scrivere è una persona di grande spessore le parole possono indurci a buone riflessioni e suscitare emozioni profonde.
La rivoluzione del modo di comunicare si è compiuta in pochi anni, e non è detto che sia finita qui. La facilità di accesso ai mezzi di comunicazione ha aumentato a dismisura la quantità di parole dette e scritte e di immagini condivise ma ciò non implica necessariamente che apprendiamo più e meglio. È sempre la qualità dei messaggi e la capacità di chi li invia a dare un vero contenuto alla miriade di informazioni che ci arrivano. E allora è sempre necessario prendersi il tempo di leggere un buon libro anche se l’esercizio non è né facile né immediato.

Non amo i social e a volte non capisco perché tengo questo blog: cerco di farlo con parsimonia e con attenzione. Mi piace sempre questa battuta di Corrado Guzzanti che oltre quindici anni fa già ironizzava già sulla rapidità e inutilità dei nuovi mezzi di comunicazione


sabato 4 novembre 2017

Le due facce di Massimo Mila

In un suo racconto, citato molto spesso, Massimo Mila narra di aver saputo di aver vinto il premio Viareggio da un villeggiante di Courmayeur, incontrato per caso; Mila era di ritorno da una drammatica esperienza alpinistica sul monte Bianco che lo aveva costretto a un bivacco nel mezzo di una tormenta. Chiude così il suo racconto: Ecco dove mi ha trovato il Premio Viareggio del 1950: sui prati di Entrèves, il luogo che ho più caro al mondo. E ha messo l’una di fronte all’altra, come mai prima di quella scadenza significativa della mia vita, quelle che sono le due facce della persona, i due fili della mia esistenza: la vocazione alla cultura, necessariamente sedentaria, e l’amore dell’avventura alpina.
Ben conosciuto come critico musicale, Mila ha scritto molti libri dedicati alla storia della musica, così come a Mozart, Verdi, Stravinsky, Brahms e altri grandi compositori. Fu anche buon alpinista al punto di essere ammesso tra gli accademici del CAI, seppure per meriti culturali come ammise lui stesso. Mila scrisse quindi anche di montagna, sua grande passione al pari della musica. In biblioteca abbiamo L'altra faccia della mia persona (ed. Vivalda); nel 1992 Einaudi pubblicò una raccolta dei suoi Scritti di montagna. In questo volume di oltre 400 pagine (purtroppo fuori catalogo) Mila affronta il tema montagna da svariati punti di vista: ci sono naturalmente resoconti delle salite più interessanti, effettuate principalmente tra il monte Bianco e l'Oberland; ricordi di grandi alpinisti come Gervasutti, Boccalatte, Chabod e altri con cui Mila ebbe il piacere di scalare; l'invito allo sci fuori pista e le sue salite scialpinistiche; le lettere da Regina Coeli durante gli anni della prigionia dovuta alla militanza antifascista; non ultimi gli scritti che cercano di inquadrare una filosofia dell'alpinismo, la ricerca del perché e del come si va in montagna. Ne emerge un innamorato assoluto, la passione alpinistica si avverte in ogni pagina. Il tratto fondamentale del suo narrare è la discrezione, la negazione di ogni trionfalismo anzi un pudore spesso intriso di autoironia. Se si respira l'ammirazione per i grandi della sua epoca, a volta suoi compagni di cordata, è soprattutto il sentimento di amicizia e cameratismo che caratterizza il racconto delle sue avventure alpinistiche. Mila indaga le ragioni dell'alpinismo per concludere che il vero successo di chi va in montagna è la propria soddisfazione interiore, rifuggendo qualsiasi affermazione e competizione. Il valore più alto che cerca in montagna, come nella vita civile, è la libertà individuale. L'alpinismo di Mila, pur di alto livello, non ricerca tanto la performance sportiva quanto la chiave per conoscere il mondo e sé stessi. I temi della vita civile appaiono talvolta: nel ricordo di Guido Rossa, alpinista e sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse, come nell'incontro con i due clandestini che cercano di passare le Alpi per emigrare in Francia o nella perorazione per l'ammissione delle donne tra gli accademici, ancora vietata nel CAI degli anni '60.

La lettura degli scritti di Mila mi ha comunicato un senso di chiarezza, di giustizia, quando i valori della vita civile sembrano confusi così come quelli dell'alpinismo. Perciò mi è sembrato doveroso parlare di questa figura di intellettuale e di alpinista nella prossima serata biblioteca. In questo compito non semplice mi aiuteranno Nazzareno che tratterà il Mila musicologo e i rapporti tra musica e montagna, Silvia che ne metterà in luce l'impegno civile e tutti i soci e simpatizzanti che avranno la cortesia di ascoltarci e interloquire con noi.

domenica 8 ottobre 2017

Ultimi libri arrivati

Eccovi i nuovi libri che abbiamo disponibili in biblioteca.
Iniziamo da un libro tecnico. Cristiano Iurisci è stato nostro ospite un paio di anni fa per presentare i suoi racconti sulle sue salite invernali in Appennino. Questo volume Ghiaccio d'Appennino raccoglie in oltre 400 pagine descrizioni di salite di goulottes, cascate di ghiaccio, creste nell'Appennino Centrale.
Alcuni di noi hanno potuto apprezzare l'infinita energia ed entusiasmo di Marco Invernizzi nell'organizzare e portare a termine il suo giro del mondo in bicicletta. Per chi s'è perso la serata in cui Marco ci ha raccontato la sua avventura, può leggerla nel suo volume Errare è umano. Il titolo naturalmente gioca sul doppio significato del verbo errare.
Tamara Lunger è una giovane e fortissima alpinista altoatesina protagonista, insieme a Simone Moro, di una salita invernale al Nanga Parbat; ha dovuto rinunciare a 700 metri dalla cima per non mettere in pericolo i suoi compagni di cordata. Il racconto di questa avvincente impresa e le riflessione che ne sono seguite sono nel volume Io, gli ottomila e la felicità. Ne trovate una recensione sul numero di Aprile di Montagne 360
Neve, cane, piede di Claudio Morandini (Exòrma) è il libro più votato di Modus Legendi 2017, grazie ai voti dei lettori via web. Un vecchio scontroso in un remoto vallone alpino, un cane parlante che gli fa da contrappunto comico e il mistero di un piede che spunta da una valanga. Ne trovate una recensione sul numero di Giugno di Montagne 360.
Di Alessandra Beltrame e del suo Io cammino da sola vi ho già detto nel precedente post che potete trovare qui sotto.
Marco Albino Ferrari riunisce, cosa non frequente, capacità alpinistiche e di scrittura. Del suo ultimo libro, La via incantata, trovate un articolo sul numero di Settembre di Montagne 360, con una lunga intervista all'autore. L'ho sfogliato e il racconto mi ha subito preso. Si narra la vicenda di Giacomo Bove, esploratore artico di fine Ottocento, importante quanto sconosciuto; la ricostruzione della vicenda umana di questo personaggio si salda alla wilderness che si respira sul sentiero alpinistico della Val Grande intitolata a Bove.
Massimo Mila è stato un personaggio eminente della cultura italiana del Novecento, apprezzato critico musicale ed eccellente alpinista. L'ho apprezzato leggendo i suoi Scritti di montagna, volume edito da Einaudi e ormai purtroppo fuori catalogo. In biblioteca abbiamo ora L'altra faccia della mia persona. Questo volume raccoglie tre scritti che riassumono la biografia e la cifra umana di Mila, la storia dell'alpinismo scritta da lui medesimo nel 1963, centenario della fondazione del CAI, e tre lettere inedite. C'è molto da dire su questa figura di intellettuale: perciò gli dedicheremo una prossima serata biblioteca.








domenica 17 settembre 2017

Alessandra cammina da sola

Ho un'amica, si chiama Francesca, lavora in una importante redazione milanese. Ci siamo conosciuti sul web e per e-mail perché condividiamo la passione dei viaggi in bici. Non ci siamo mai incontrati di persona. Francesca ha appena pubblicato un libro Il bambino che disegnava parole in cui tratta il tema della dislessia: sì perché Francesca ha un figlio dislessico. Il libro è in forma di romanzo ma tratta anche di progetti che affrontano questi problemi. Uno di questi progetti è stato ideato e curato da Giuliana, citata e ringraziata nel libro. Giuliana ha letto il libro in pochi giorni, con molto interesse. Chiusa la parentesi.
Francesca conosce la mia passione e il tempo che dedico alla biblioteca così ogni tanto mi segnala qualche libro in tema con i nostri interessi. 
Alessandra Beltrame è sua ex-collega, giornalista anch'essa. Ho detto ex perché Alessandra si è licenziata per mettersi a camminare. E infine raccontarlo in un libro: Io cammino da sola. Libro che ho letto grazie a Francesca. 
Alessandra ha cominciato con un trekking organizzato sull'Appennino romagnolo, poi la passione l'ha presa e non l'ha lasciata più. Da allora percorre chilometri su chilometri nei luoghi più diversi, seppur principalmente in Italia, col ritmo lento e i sensi dilatati del camminatore, in modo da cogliere tutti i minimi particolari dell'ambiente circostante. Si è trasformata da soggetto "urbano", che ritrova tutti i suoi punti di riferimento nella metropoli, in una persona che assorbe voluttuosamente tutti gli elementi che la natura intorno a sé le mette a disposizione. Ha lasciato Milano per tornare in Friuli dove abitava da bambina: qui camminando ha riscoperto i luoghi d'infanzia sotto un aspetto sconosciuto. Ha continuato a camminare con associazioni, gruppi organizzati, gruppi spontanei di amici, infine da sola. Questa ultima esperienza è stata la più densa di significati interiori, l'esperienza che è stato necessario raccontare nel libro. Alessandra racconta i quindici giorni di cammino sulla via Francigena, da Siena a Roma. Non ha camminato per arrivare ma per stare in viaggio, non per evadere o dimenticare ma per essere più presente a sé stessa. Ha rielaborato tutti i dolori e le difficoltà della sua vita precedente, la svolta della sua vita quando si è messa in cammino, i nuovi amici e il suo diverso rapporto col mondo. Durante questo viaggio a piedi ha rielaborato il suo rapporto con il suo corpo e con la fatica; con la paura (vinta) per gli animali e quella (persistente) per i cacciatori o per le auto che sfrecciano nei tratti percorsi lungo la strada asfaltata. Ha imparato a non temere gli elementi atmosferici: il vento e il freddo che a Milano sembravano intollerabili e ora, nella campagna sferzata dalla tramontana, sono accettati benevolmente. Viaggiare a piedi da sola ha rovesciato quel senso di solitudine che viveva nella sua vita milanese regalandole una nuova percezione di sé.
Il libro è scorrevole e scritto bene. L'ho letto con piacere. Forse una donna ci troverà qualcosa di più di quanto non abbia fatto io. Sarò curioso di sentire cosa ne penserà qualche amica che dovesse leggerlo. 
Trovate una recensione dl libro sull'ultimo numero di Montagne 360.





domenica 23 luglio 2017

Letture estive

Arturo ci ha invitato a utilizzare parte del tempo libero estivo per leggere qualche libro della nostra biblioteca. So che libri ha preso: i gialli di Enrico Camanni che hanno come protagonista Nanni Settembrini capo delle guide di Courmayeur e Cometa sull'Annapurna di Simone Moro. Non ho più visto Arturo e non ho saputo se gli siano piaciuti.
Tonino è invece alle prese con Il silenzio di Erdling Kagge. L'esploratore norvegese ha raggiunto in solitaria il Polo Sud, dopo aver scalato l'Everest e raggiunto il Polo Nord. Dai cinquanta giorni di marcia sui ghiacci dell'Antartide ha riportato indietro una sua filosofia del silenzio, chiave per riuscire a chiudere fuori il mondo.
Da queste letture potrebbero venir fuori buoni spunti per una nostra serata di chiacchiere del prossimo inverno.



Io ho approfittato di qualche giorno di mare per leggere un classico: Fuga sul Kenia, di Felice Benuzzi; in biblioteca ne abbiamo una buona edizione, ancora in buono stato, seppure di cinquant'anni fa. Il racconto in prima persona inizia in un campo di prigionia britannico, in Africa Orientale, durante la seconda guerra mondiale. Per sfuggire all'inedia di una vita confinata in un luogo di miseria fisica e morale, l'autore concepisce un progetto folle: scalare la montagna che vede in lontananza, al di là dei reticolati. Il piano prevede di trovare dei compagni, senza destare sospetti tra gli altri prigionieri; procurare tutto il necessario per la spedizione: viveri a sufficienza, materiale per allestire i campi, attrezzatura alpinistica; poi bisogna evadere, attraversare la foresta equatoriale popolata di leopardi e leoni, elefanti e rinoceronti, infine allestire un campo base sotto le rocce e i ghiacciai sommitali. L'obiettivo finale e coronamento della fuga sarà piantare una bandiera italiana su una vetta di 5000 metri. Per dare un'idea delle difficoltà e della precarietà dell'organizzazione, basti pensare che la topografia in possesso dei nostri fuggiaschi è un'immagine del Monte Kenia raffigurata sull'etichetta di una carne in scatola! Al di là della cronaca della fuga e dell'ascensione, sempre avvincente e raccontata in modo scorrevole, la bellezza del romanzo è altrove. Il libro è un inno alla follia dell'alpinismo. Quella follia che proviamo tutti, dagli escursionisti domenicali agli alpinisti di punta, nel salire le montagne, la più inutile e sublime delle attività umane, qui è portata al suo estremo. Qualunque prigioniero avrebbe pensato di evadere soltanto per raggiungere la libertà che è però a mille chilometri di distanza: il Mozambico, colonia del neutrale Portogallo. I nostri invece evadono nel tentativo di scalare il Monte Kenia, sapendo fin dall'inizio che dovranno tornare al campo, unica possibilità di sopravvivenza, dove li attende una punizione per la loro evasione. La loro è una fuga che serve a ritrovare sé stessi e dare un senso alla loro vita, a continuare a sperare.

domenica 9 luglio 2017

"Le otto montagne" ha vinto il Premio Strega

Ho ricevuto "Le otto montagne" in dono a Natale e l'ho letto subito, durante le vacanze. Mi sono sentito di scrivere un messaggio a Paolo Cognetti, l'autore, per complimentarmi ma anche per invitarlo a presentare il libro da noi. Mi sembrava un tentativo disperato. Al contrario, mi ha risposto subito in tono amichevole, da socio CAI, dandomi direttamente del tu e promettendomi a più riprese una sua visita. Francesca, mia collega e amica, che già lo vedeva finalista allo Strega, ha raffreddato i miei entusiasmi, prevedendo una serie di impegni che lo avrebbero distolto da questo proposito. Finora ha avuto ragione ma noi ci speriamo sempre. Un'altra Francesca, giornalista milanese, ciclista, conosciuta sul web (e che aveva consigliato a mia moglie il dono natalizio) tifava apertamente per Cognetti per il semplice motivo che il libro è bello e avrebbe meritato il premio. Angelo, nostro socio prima ancora che responsabile della biblioteca comunale, temeva una pastetta tra le case editrici che avrebbe escluso Einaudi dal primo posto. Per fortuna s'è sbagliato.
Lo Strega ha meritatamente premiato Paolo Cognetti e il suo libro. Questo riconoscimento però è importante anche per chi si riconosce nei valori della nostra associazione. Perché Cognetti è socio CAI fin da bambino, perché il libro tratta il tema dell'amicizia ma anche tanti altri temi legati alla montagna: una montagna lontana da qualsiasi lettura turistica e da qualsiasi accenno di competizione alpinistica, per parlare di chi la frequenta, come noi, da semplice appassionato; per trattare il tema dell'abbandono delle valli alpine fuori dai tour turistici e la difficoltà di un ritorno ad un'economia di montagna. Non mi dilungo, ma se volete potete rileggere quello che già avevo scritto su questo post
Roberta è ormai una mia ex-collega. Venerdì ha lasciato l'azienda per continuare a lavorare altrove. Mi è dispiaciuto perché si lavorava bene insieme e perché ci siamo anche frequentati fuori, anche se molto raramente. Mi sono sentito di regalarle "Le otto montagne" come qualcosa che in qualche modo mi rappresenta. Non l'aveva letto e ne è stata ben felice. Per quel tanto che la conosco lo leggerà con piacere.

sabato 17 giugno 2017

Ricette

Trovo finalmente il tempo di scrivere e ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla serata del 9 giugno, l'ultima prima dell'estate: grazie a chi ha letto ad alta voce, a chi ha ascoltato, a chi ha provato a indovinare gli autori dei brani del gioco. Rispetto all'anno scorso è stato molto più semplice trovare dei lettori che hanno voluto condividere brani di libri che gli sono cari. Vuol dire che il piacere di partecipare supera sempre di più quel po' di ritegno che inevitabilmente si ha prima di rendere pubblico qualcosa di sé. Vuol dire che la ricetta della nostra biblioteca funziona, anche se non è detto che possa migliorare. Adesso, come sempre, c'è bisogno del contributo di tutti: nel proporre nuovi argomenti, nel suggerire titoli da comprare, nello scovare nuovi libri e temi per le prossime serate. Mi spaventa doverlo fare io, da solo, per questo vi chiedo una collaborazione nella misura in cui vi sentite di contribuire. Ho i miei gusti e le mie preferenze com'è naturale: però nell'arricchire la nostra biblioteca di nuovi libri e nuove serate bisogna allargarci ai gusti di tutti, sempre restando nei temi che ci sono propri. Questa nostra storia è cominciata cinque anni fa e mai come adesso non mi sento di portarla avanti senza l'apporto delle idee altrui. Fatevi sentire: per e-mail o per telefono o ancora meglio di persona: il lunedì dalle 19 alle 20, salvo vacanze, sono sempre in sezione per la biblioteca. Potreste approfittare per prendere in prestito un libro da leggere in vacanza. Ci rivediamo comunque a settembre con qualche nuova bella proposta.

Giugno è tempo di amarene e visciole. Il rito si è ripetuto anche quest'anno e i vasi con il vino e i frutti sono al sole. Seguo scrupolosamente l'antica ricetta della ratafia tramandata da zia Maria, confidando che i risultati siano eccellenti come al solito. Mio figlio, invece, dice che la ricetta è sbagliata e mi spiega anche la sua teoria desunta da una diversa tradizione sentita chissà dove. Non gli ho dato retta e ho fatto come al solito. Ha insistito quando ormai i vasi erano al sole. Ho pensato che però una minima dose si poteva anche fare con un procedimento diverso, se non altro per curiosità o anche solo per smentirlo. Per quest'anno è ormai tardi, però l'anno prossimo un chilo di amarene lo metto da parte per seguire la ricetta di mio figlio. Non si sa mai che i giovani abbiano ragione.

domenica 21 maggio 2017

Nuovi titoli in biblioteca

Sono arrivati nuovi libri, grazie al budget messo a disposizione dal CAI e ai consigli degli amici che mi hanno aiutato nella scelta.
Le otto montagne di Paolo Cognetti, edito da Einaudi, è un libro di cui si è parlato e si parla ancora molto, non fosse altro perché è un finalista dello Strega. Ne ho scritto anche io su questo blog.Chi non l'ha ancora letto ora può prenderlo in prestito. Mi sono sentito via e-mail con Cognetti: mi ha promesso e ripromesso che sarà da noi per una prossima serata, quando i suoi impegni glielo consentiranno. Sarebbe una meravigliosa occasione per noi. Ora, in previsione della finale dello Strega di tempo ne ha ben poco. Continuo a sperare che venga, magari in autunno.
Ho scritto anche di La sostanza del male di Luca D'Andrea, ed. Einaudi, nel post qui sotto oppure a questo link. Ora il libro è finalmente disponibile sui nostri scaffali.
Restando in tema di gialli di montagna abbiamo ora tre romanzi di Enrico Camanni, editi da Vivalda: La sciatrice, L'ultima Camel blu e Il ragazzo che era in lui. Il protagonista è Nanni Settembrini, capo del soccorso alpino di Courmayeur; le vicende sono romanzate ma su solide basi di conoscenza di montagna da parte dell'autore. Il primo l'ho letto in quattrequattrotto: c'è l'azione, il mistero, un intrigante profilo dei personaggi, il Monte Bianco. La lettura va via veloce e piacevole. Gli altri due non li ho ancora letti ma mi riprometto di farlo.
Sono arrivati poi tre libri di Mario Rigoni Stern. Ne abbiamo già altri tre (Il sergente nella neve, Arboreto salvatico e Stagioni) però ci sono buone ragioni per averne degli altri di colui che è stato uno dei più apprezzati scrittori italiani del Novecento e non solo di montagna. La scelta ci è sembrata obbligata perché molto probabilmente avremo nostro ospite in autunno Giuseppe Mendicino, autore di una corposa biografia sullo scrittore di Asiago: ne ho scritto qui. Invito tutti a leggere o rileggere Rigoni Stern, in previsione di questa serata che sarà molto ricca di contenuti. Abbiamo scelto: Amore di confine, una raccolta di quarantaquattro brevi racconti tra guerra e vita sull'Altopiano; i Racconti di guerra, una testimonianza da non dimenticare, permeata dell'etica del Sergente; Trilogia dell'Altipiano è la raccolta di tre romanzi brevi che, in successione, raccontano la storia della comunità dei Sette Comuni dalla fine dell'Ottocento allo scoppio dell'ultima guerra; il primo romanzo La storia di Tönle è forse il più bello di questo autore.
Squisitamente alpinistico è Cometa sull'Annapurna di Simone Moro, edito da Corbaccio; l'alpinista di alta quota racconta della salita del 1997 a questo ottomila, terminata in tragedia, da cui tornò miracolosamente vivo ma che non lo fece rinunciare alle scalate estreme.
Di tutt'altro stampo è invece Il silenzio di Erling Kagge, edito da Einaudi. L'autore è un esploratore norvegese che ha raggiunto il Polo Sud in solitaria, dopo aver raggiunto altri due punti estremi del globo: il Polo Nord e la cima dell'Everest. Si domanda cos'è il silenzio, dove si trova e perché è più importante che mai e si dà trentatré risposte. Il libro mi incuriosisce ma ho fatto appena in tempo a iniziarlo: si legge senza grosse difficoltà ma richiede di ragionarci su.
Infine un film: Solo di Cordata – esplorando Renato Casarotto, di Davide Riva, film vincitore del premio miglior film al Bansko FF2016 e miglior film italiano al Trento FF2016. Il DVD include 20 muniti di video extra e un libro interno con importanti scritti.








domenica 7 maggio 2017

Dolomiti da paura

La sostanza del male, di Luca D'Andrea, edito da Einaudi è un thriller. Non è questo un genere che frequento, non avevo più letto nulla di simile dopo le duemila pagine della trilogia del Millennium di Stieg Larsson. Mi sono avventurato in questo romanzo anch'esso abbastanza voluminoso attratto, non lo nego, dall'ambientazione in uno scenario (reale) e in un paese (immaginario) delle Dolomiti.
Il meccanismo del thriller è ben congegnato: la lettura ti tiene inchiodato al libro e si gira sempre pagina per sapere come va a finire, Qualche volta l'autore la spara un po' grossa, però l'inverosimile è sempre sfiorato e una logica c'è sempre. Si arriva all'ultima pagina col fiato sospeso. L'io narrante è un americano che ha sposato una ragazza originaria dell'Alto Adige e si trasferisce per un periodo nel paesino originario di lei: qui resta ossessionato da un atroce delitto di cui furono vittime, trent'anni prima, tre ragazzi del luogo nelle misteriose e terrificanti gole del Bletterbach. Il protagonista dovrà tenere nascoste le sue indagini alla moglie, inquieta e sospettosa, e alla loro bimba, spiritoso contrappunto alla drammaticità del racconto. Più di questo non si può dire, il resto è tutto da scoprire nelle oltre quattrocento pagine del libro.
Si può parlare invece degli ingredienti che ne fanno una storia di montagna. Innanzi il libro narra le vicende del soccorso alpino cominciate alcuni decenni prima; poi c'è un drammatico incidente di montagna e quel senso di colpa che perseguita chi ne è sopravvissuto: il paese non perdona chi è tornato vivo. Una storia già sentita tante volta nella realtà. C'è poi la diffidenza di un piccolo paese chiuso tra le montagne verso un americano troppo ficcanaso e la vecchia, risaputa avversione verso i Welschen, gli stranieri cioè gli italiani. Molto interessante è anche la descrizione della festa di San Nicolò, quando il paese viene invaso dai Krampus, i diavoli, una presenza inquietante fino all'intervento risolutivo del santo. Tra le pagine si avvertono anche i cambiamenti che il turismo ha portato a questa comunità negli ultimi trent'anni. Ce ne sono di aspetti che caratterizzano questo romanzo come un libro di montagna! Di certo non ultimo la descrizione della natura e soprattutto delle paurose gole del Bletterbach: qualcosa di agghiacciante succede nelle sue grotte. Un brivido corre tra le Dolomiti.
Un libro che avremo presto nella nostra biblioteca.

lunedì 17 aprile 2017

Carmen Pellegrino e l'Appennino abbandonato

Stavolta parlo di Carmen Pellegrino, autrice di due libri, editi da Giunti, entrambi imperniati sul tema dell’abbandono: degli affetti, delle illusioni di una vita, ma soprattutto dei paesi di montagna del Cilento, sua terra natale. È appena uscito il suo secondo romanzo: Se mi tornassi questa sera accanto. Prima di addentrarmi in questo libro voglio accennare al suo primo libro, Cade la terra, che ha vinto il Premio Rapallo Carige opera prima e il Premio Selezione Campiello. L’ho letto un anno fa e avrei voluto perlomeno sfogliarlo di nuovo prima di scriverne; non l’ho fatto, quasi a dimostrare a me stesso che lo ricordo bene, che le storie dei suoi personaggi mi sono rimaste impresse. Estella, l’ultima abitante di un paese immaginario, richiama a sé le persone che vissero lì nel tempo che fu: ecco allora comparire queste figure eteree con le loro storie. Siamo in un paese di montagna abbandonato: sono storie di piccole miserie, di desideri incompresi e incompiuti; sono storie dolorose che ci riportano ad un mondo travolto e trascurato dal vorticoso cambiamento della nostra società. Estella, la protagonista del romanzo, vuole restituire un alito di vita, una speranza compassionevole ai protagonisti di queste storie dimenticate. Carmen Pellegrino ricostruisce così la memoria di un mondo abbandonato abbarbicato alle increspature dell’Appennino.
Dopo questa doverosa parentesi, torno al secondo romanzo che ho appena terminato di leggere. Anche Se mi tornassi questa sera accanto è ambientato in un paese dell’entroterra cilentano. Giosuè è legato in modo ancestrale a questa terra da cui non saprebbe separarsi per nessun motivo: qui, nel suo sogno utopico, dovrebbe realizzare una città ideale improntata alla giustizia sociale. Giosuè ha aderito al Partito Socialista quando ha visto le lacrime sincere di Sandro Pertini sulle macerie del terremoto del 1980 e si è illuso che questo ideale politico lo aiuterà a realizzare questa società perfetta ispirata al socialismo appenninico. Piega a questo ideale sua figlia Lulù quando lei è ancora bambina, costringendola a scelte non sue. Poi tutto gli si rivolta contro: il crollo del partito e di ogni ideale; la malattia di sua moglie Nora che non comunica più e vive una dimensione aliena; la decisione sofferta, straziante, di Lulù ormai adulta di lasciare il paese. Giosuè continua a credere al suo sogno anche se nulla è stato realizzato, anche se ormai la terra su cui doveva sorgere la sua utopica città è stata svenduta a ripetitori, discariche e pale eoliche. Non sa neanche più dov'è Lulù ma comincia a scriverle delle lettere che affiderà al fiume: lui saprà recapitargliele.
Non sono due romanzi di montagna, di certo non lo sono in senso stretto. Dobbiamo però considerare che l’abbandono dei borghi e il dissolvimento delle comunità appenniniche sono state un aspetto che ha segnato la storia delle montagne che ci sono vicine. I romanzi sono ambientati, seppure in modo immaginario, nel Cilento ma nulla ci impedisce di pensarli nel Molise più interno o nell'Abruzzo lontano dai centri turistici. Sono storie che ci riguardano. Perlomeno io, che non sono più giovane e che ho vissuto in un piccolo paese, le ho sentite vicine, mi hanno riaperto delle ferite che non erano ben cicatrizzate, le ho vissute con dolore. In un mondo realista sono storie amare che si chiudono con sentenze senza appello. Nella narrazione di Carmen Pellegrino trovano una loro soluzione. Estella, protagonista di Cade la terra, ha in serbo un dono per ognuno degli eterei invitati alla sua cena che li possa risarcire delle ingiustizie patite e della sorte avversa; Nora, seppure nel suo deliquio, partecipa a funerali di sconosciuti e promette ad ognuno quella parola, quel sentimento che la vita gli ha negato. Soltanto così l’Appennino abbandonato e i suoi abitanti potranno vivere la vita che meritavano.

Forse qualcuno mi rimprovererà perché comincio a percorrere orbite sempre più ampie sul tema montagna. Non posso negare che questa volta l’ho presa alla larga. Però l’idea di poter parlare in una nostra serata di questi due bei romanzi, magari in compagnia dell’autrice, non mi dispiacerebbe affatto. Sarà difficile però vorrei provarci, magari con l’aiuto del nostro caro Angelo.

domenica 26 marzo 2017

Ossimori e anagrammi di Silvia Petroni

Dedico ancora un post a Silvia Petroni, dopo la coinvolgente serata dello scorso 14 marzo durante la quale ci ha presentato la sua attività alpinistica e il suo libro Il vuoto tra gli atomi. Se non l'avete ancora fatto, potete leggere i primi due post qui sotto. 
Nei giorni scorsi ho riparlato spesso con gli amici che ho avuto modo di incontrare dell'incontro con Silvia e abbiamo usato tutti gli aggettivi possibili, qualcuno anche roboante, nello scambiarci i nostri entusiastici commenti. Rita ha riassunto così il suo pensiero: “La serata è stata ricca di stimoli, emozioni e tensioni, tutti attenti e rapiti dalla magia di Silvia, che per qualche ora ci ha condotti in un mondo magico, non solo attraverso le immagini, ma soprattutto attraverso la sua personalità grintosa e fragile nello stesso momento”. Rita ha colto questo apparente ossimoro tra grinta e fragilità che caratterizza Silvia. A mio modo di vedere è proprio questa la chiave di lettura per entrare nel suo mondo. Abbiamo immaginato il suo fisico esile e al tempo stesso energico sotto il peso di uno zaino enorme affrontare le gigantesche muraglie delle Alpi: sì, perché Silvia prima di affrontare in scarpette le vie di arrampicata sportiva ha salito un gran numero di quattromila per vie alpinistiche di grande impegno. Allora eccola, minuscola e fermamente determinata, salire la ciclopica parete est del Monte Rosa. Dalle pagine del suo libro emerge la sua battaglia contro la depressione e al tempo stesso la sua calma lucida priva di ogni angoscia nei momenti difficili delle sue salite. Ancora una volta, grinta e fragilità si fronteggiano e si completano per disegnare il mondo di Silvia.
La proiezione delle foto e dei filmati ci ha tenuti incollati allo schermo. Ho temuto, poi, che l’attenzione calasse durante la successiva presentazione del libro. Il timore è durato ben poco. Le immagini erano certamente spettacolari però le parole del libro hanno esercitato ugualmente un grande fascino: senza enfasi, senza retorica, senza autocompiacimenti Silvia ha raccontato alcuni momenti della sua vita, non solo alpinistica, centrati, come dice lei, attorno ai suoi errori. Siamo rimasti ad ascoltarla. Ho avuto il piccolo privilegio di leggere il libro in anticipo, grazie al mio ruolo di bibliotecario; ho avuto modo, così, di discuterne con Silvia durante la serata, altro privilegio non da poco. Federico mi ha rivelato, poi, che mentre io parlavo Silvia annuiva come dire che concordava con me. In effetti, dopo aver letto il suo libro, mi sembrava di conoscerla da tanto tempo, di conoscere lo zio, celebre guida delle Pale di San Martino, e il nonno letterato. Merito della sua scrittura e del suo libro. La storia di Silvia raccontata in modo semplice e diretto mi è entrata nell'animo. Altro grande privilegio del mio lavoro di bibliotecario del CAI di cui sono molto soddisfatto.
Silvia è dottore di ricerca in fisica ma viene da una famiglia di grandi tradizioni umanistiche. Ha accennato a congressi di scienziati ma anche ai ricercatori letterati: che studiano versi immortali: "Silvia rimembri ancora .... di gioventù salivi?" per chiedersi se Leopardi avesse intenzionalmente chiuso il verso con quel verbo (salivi) che è anagramma del nome dell'amata (Silvia). Colto il suggerimento, i "Bartezzaghi de' noantri" si sono scatenati con gli anagrammi di Silvia Petroni: è venuto fuori un pietron salivi (Arturo) e in tre op salivi (Nazzareno). Quest'ultimo si potrebbe scrivere più correttamente in tre hop salivi ma in questo caso l'anagramma funzionerebbe solo per l'orecchio e non per l'occhio. Come direbbe Bartezzaghi, quello vero.

domenica 5 marzo 2017

Il vuoto tra gli atomi

Un nuovo libro è sempre una piccola emozione. Il vuoto tra gli atomi di Silvia Petroni, Edizioni ETS, mi è arrivato per posta, un gentile omaggio dell’editore alla nostra biblioteca: ho avuto il piccolo privilegio di riceverlo a casa e leggerlo per primo. Complice un fine settimana di brutto tempo l’ho letto in un lampo. Sì, è vero che fuori pioveva però il libro si legge facilmente e molto piacevolmente. In sette quadri Silvia Petroni ricostruisce la sua passione per la montagna, dalle vacanze di bambina in casa dei nonni alle salite di estrema difficoltà sulle Torri del Sella, passando per i giganti ghiacciati del Vallese e dell’Oberland e i dolorosi passaggi tra ortopedici e ospedali. Narra di salite di grande impegno ma il racconto non indugia mai sugli itinerari di salita e sulle difficoltà tecniche incontrate; non ricorre mai all'autocompiacimento o a quella autoironia che a volte serve a celarlo. Il racconto ruota sempre attorno alla sua persona, alla ricerca della propria identità, alle scelte di una vita che si annodano sempre con gli spazi infiniti della montagna tanto amati. Non interessa raccontare che si è arrivati in cima o dettagliare le difficoltà superate; piuttosto i sentimenti e i pensieri che ruotano vorticosamente nella mente durante le esperienze più drammatiche. 
Silvia apprende quasi per caso, in età ormai adulta, che lo zio ha il suo posto nei libri di storia, perlomeno in quelli dell’alpinismo dolomitico. Lo zio ormai vecchio e malato sarà fiero e commosso fino alle lacrime delle grandi salite della nipote. Quando si erano incontrati la prima volta, però,
lo zio le aveva chiesto innanzi tutto due cose: cosa studiasse, perché studiare sempre è la cosa più importante e se avesse letto il Deserto dei Tartari. La domanda può sembrare strana a chi non sapesse chi è lo zio: per rimediare può leggere il post qui sotto. L’alpinismo assume un senso quando si intreccia con le scelte importanti della vita. E allora “niente ha senso di per sé”, nemmeno scalare montagne “nessuna cosa ha un significato, un motivo di essere in astratto: siamo noi a dare significato alle azioni”. Per questo motivo il libro mi piaciuto.

Silvia Petroni presenterà il suo libro presso la nostra associazione, martedì 14 marzo, alle 19. Ci saranno foto e filmati delle sue scalate che saranno sicuramente avvincenti e spettacolari; però, dopo aver letto il libro, penso che ci daranno anche una misura della sua cifra umana, il vero senso di quello che fa.

Vi aspetto!



sabato 4 febbraio 2017

Zio e nipote

Lo zio. Gabriele Franceschini è stato una guida storica delle Pale di San Martino, gruppo montuoso di cui conosceva ogni via e ogni valle, di cui ha scritto anche numerose guide alpinistiche ed escursionistiche. E' sua la prima solitaria della via Solleder al Sass Maor: fu, dopo Emilio Comici, il primo alpinista a ripetere da solo un itinerario considerato di sesto grado. Franceschini  ricevette in sorte dalla vita un grande privilegio, perlomeno dal mio punto di vista: andava in montagna con Dino Buzzati. Al di là del rapporto guida - cliente, i due furono amici e restarono in contatto fino alla morte di Buzzati. La guida alpina frequentava la casa di famiglia dello scrittore e giornalista, a San Pellegrino, alle porte di Belluno, dove era accolto cordialmente. Una larga parte del suo libro autobiografico, Vita breve di roccia, narra degli anni di salite in Dolomiti insieme a Buzzati. Se vi incuriosisce, il libro è disponibile in biblioteca.

La nipote (più esattamente la pronipote, sua madre era nipote di Franceschini). Silvia Petroni, nata a Pisa, è Dottore di Ricerca in Fisica oltre che alpinista. Le Edizioni ETS hanno pubblicato il suo romanzo Il vuoto tra gli atomi, racconto autobiografico della sua passione per la montagna, cresciuta con la scoperta della figura dello zio. Quello che so di lei l'ho letto qui e mi sembra inutile aggiungere altro. Ho cercato subito un contatto che è andato a buon fine. L'ho sentita al telefono e Silvia sarebbe ben disposta a una serata da noi, per presentare il libro e fare una proiezione di sue scalate. Dovremo rimborsarle il viaggio e assicurarle il pernottamento. Mi sembra più che ragionevole. Cominciamo a cercare una data possibile, anche se sarà difficile di venerdì.
Per ora aspetto un'approvazione da Paolo e/o da Rita per garantire il rimborso, poi provo a concordare la data.

sabato 28 gennaio 2017

I libri che non ho letto

I libri che non ho letto sono come le montagne che non ho salito. Innanzi tutto sono tanti. Spesso ne leggo un sunto o una recensione, me ne sento attratto, poi non trovo il tempo di leggerlo. Come una montagna di cui ho soltanto visto le foto o letto una relazione. Vale la pena fare la fatica di leggere il libro  così come vale la pena fare la fatica di salire la montagna se vuoi davvero conoscerla.
Non so se ce la farò a leggerli, sono comunque rimasto incuriosito da alcuni titoli, dopo averne letto qualcosa. Per ora ve ne parlo, poi vedremo.

Di roccia, di neve, di piombo di Andrea Nicolussi Golo è edito da Priuli & Verlucca, casa editrice specializzata nella letteratura di montagna. La storia si svolge durante gli anni di piombo, tra lotte sindacali e Brigate Rosse; la montagna è una boccata di aria pura per scappare da un clima pesantissimo. Cinque amici condividono questa passione ma si avviano verso un finale difficile. Su internet ne ho trovato una bella recensione de La Stampa

Enrico Camanni è un apprezzato scrittore di montagna, non solo da me. In biblioteca ne abbiamo diversi titoli. Predilige racconti biografici o storici, comunque legati al mondo dell'alpinismo o alla cultura della montagna. Alpi ribelli, edito da Laterza, narra di eretici medievali e di partigiani, passando per figure storiche quali Tita Piaz, Guido Rossa, Alexander Langer.

La conquista del K.O. di W. E. Bowman uscì la prima volta nel 1956 ed è stato riedito ora da Priuli & Verlucca. Siamo in una immaginaria regione himalayana ma il tono del libro è assolutamente comico, una parodia dei resoconti delle spedizioni britanniche dell'epoca sulle montagne più alte della terra. Io non amo particolarmente lo humour anglosassone però le recensioni dicono che sia molto divertente, un vero capolavoro del genere.

Infine un libro ambientato in un paesino dell'Alto Adige: La sostanza del male di uno scrittore esordiente Luca D'Andrea, bolzanino di nascita. E' un thriller, non specificatamente un libro di montagna, tanto è che è stato pubblicato da Einaudi nella collana Supercoralli. L'ambientazione di montagna gioca però un ruolo importante: in una gola scavata nelle rocce a monte del paese, anni fa, è stato perpetrato l'assassinio di un fratello e di una sorella. Questo luogo continua a mandare sinistri messaggi. Insomma, un libro "di paura" dove la montagna fa la parte del cattivo.

Se ne avete voglia, fatevi un giro su internet a cercare le recensioni di questi libri. Quando ci vediamo ci scambieremo le opinioni in merito e decideremo se arricchire la nostra biblioteca con questi titoli.

domenica 22 gennaio 2017

Lettura digitale

Prendo il treno, di tanto in tanto. A volte per recarmi al lavoro, più raramente per andare a Roma. Prima passo in edicola a comperare il giornale da leggere durante il viaggio. Fino a qualche anno fa era un'abitudine molto diffusa, c'era tanta gente che saliva in treno col giornale sotto il braccio, magari col Corriere dello Sport ma comunque con un giornale. Oggi sono rimasto solo io. Mi guardo intorno nel vagone e vedo solo persone intente a digitare in modo compulsivo su uno smartphone. Io ho un cellulare del 2011, cioè un'era geologica fa. Quindi compro il giornale. Gli altri viaggiatori non lo fanno più. Il numero delle copie vendute dei giornali diminuisce. Forse, in futuro, i giornalai saranno costretti a chiudere. 
Se non mi vedrete sul treno con uno smartphone, non è escluso che mi vediate con un e-reader. In un viaggio verso Roma potrei decidere d portarmi dietro questo attrezzo per leggere un libro digitale. Ora ne ho uno. Ho letto un breve racconto e ora sto leggendo il primo vero libro elettronico piuttosto voluminoso: per i curiosi, è un'altra biografia di Annemarie Schwarzenbach, non posso negare che la ragazza eserciti su di me un fascino diabolico. Bisogna farci un po' l'abitudine per superare la diffidenza iniziale; e poi mi manca la possibilità di mettere un dito tra le pagine e sfogliarle in avanti per vedere quanto manca alla fine del capitolo o indietro per ritrovare un passo già letto. Resto dell'idea, almeno per ora, che il libro di carta sia più bello. I fautori dell'ebook mettono in evidenza il vantaggio di poter portare con sé centinaia di libri in uno spazio e peso ridottissimo, vantaggio non da poco per chi viaggia spesso o ama leggere in vacanza. Anche il prezzo sempre molto inferiore al libro di carta è un vantaggio non irrilevante. Anche le librerie saranno destinate a chiudere in un futuro più o meno lontano?
Che ne sarà allora delle biblioteche? Di certo dureranno ancora tanto tempo, se non altro perché conservano tanti libri che ancora non esistono e probabilmente non esisteranno mai in formato elettronico. Però mano a mano che gli ebook si diffondono e affiancano i libri tradizionali forse anche le biblioteche dovranno adeguarsi.
Mi chiedo se anche nella nostra biblioteca dovremo cominciare a conservare e catalogare ebook. Stiamo a vedere, ma il quesito bisognerà porselo seriamente.  

domenica 15 gennaio 2017

Camminare, leggere, scrivere

Ho preso l'abitudine, quando mi arriva a casa Montagne 360, la rivista del CAI, di cominciare a sfogliarla dalla fine. La mia lettura inizia ormai dalle recensioni dei libri. L'estate scorsa ho quindi appreso della pubblicazione della biografia di Mario Rigoni Stern, curata da Giuseppe Mendicino. Il libro, edito da Priuli e Verlucca, si intitola Mario Rigoni Stern vita, guerre, libri. A settembre l'ho subito detto a Federico, la prima volta che l'ho visto, sapendolo appassionato lettore dei racconti del sergente di Asiago. L'aveva già comprato e l'aveva già letto, così me l'ha prestato anticipandomi che non ne era rimasto entusiasta. Il libro è ricco di informazioni molto dettagliate lungo tutti gli ottantasei anni della sua vita ed è anche corredato di buone foto. però risulta didascalico nel lungo elenco di nomi di persone, luoghi e fatti, anche i meno rilevanti. Il libro rende comunque bene tutti i temi cari a Rigoni Stern che peraltro noi lettori già conoscevamo approfonditamente avendone letto i romanzi e gli innumerevoli racconti che hanno spesso riferimenti autobiografici. Tutte le spigolature che questa biografia aggiunge sono comunque interessanti ma non emozionano più di tanto.
Molte pagine sono dedicate alla disastrosa ritirata di Russia. Il ragazzo appena ventenne, uscito dagli anni entusiasmanti della scuola militare alpina partecipa prima alla guerra in Albania e poi parte per la campagna di Russia, convinto di combattere per una giusta causa. La disfatta e la penosa ritirata matureranno in lui la convinzione che i contadini russi che incontra lungo la ritirata sono invece suoi "paesani" e anche i soldati russi non sono cattivi; i suoi veri nemici sono a Roma, nelle alte sfere politiche e militari. Di fronte a questa drammatica realtà il sergente Rigoni non perde la testa, non inveisce contro nessuno e non manda nessuno "affa" anche avendone un mare di ragioni. Continua a servire la Patria: ora il suo scopo è portare a casa i suoi uomini, compito a cui assolve con assoluta dedizione. Dopo l'otto settembre si rifiuterà di aderire alla Repubblica di Salò e pagherà questa scelta con due anni di prigionia nei lager tedeschi. La biografia di Mendicino racconta bene questo passaggio fondamentale ma a noi, che l'avevamo già letto nei suoi romanzi e nei suoi racconti, ha aggiunto ben poco.
Un altro aspetto rilevante è il suo amore per la natura che doveva però conciliarsi con la sua passione venatoria che in molti gli rimproveravano. E' pur vero che Rigoni Stern "andava a caccia con un fucile con un colpo solo e a piedi"; questa cosa però non mi ha mai convinto del tutto così come non ha mai convinto Ennio Flaiano che, dopo una lunga disputa, tuttavia ammise: "quella del suo fucile è una carica poetica".
Rigoni Stern andato in pensione anticipata (se l'era ben meritata dopo gli anni di guerra e prigionia) ha dedicato il suo tempo a Camminare, Leggere e Scrivere. Mi fa piacere pensare che anche io con l'avanzare degli anni gli assomiglio in questo e il giorno che andrò in pensione lo farò ancora di più. Certo lui scriveva ben altre storie, aveva ben altro da raccontare, e camminava per i boschi dell'Altopiano di Asiago: io porto a spasso il cane nella nostra brutta periferia, cercando quel po' di prati e bosco che ancora si trova alle spalle del Casaleno, giù verso le vecchie fornaci. Mi consolo con qualche escursione in montagna e qualche giro in bicicletta.
Chiudo questo post citando la chiusura della biografia scritta da Mendicino che riassume bene l'eredità che il Sergente ci ha lasciato. Il 16 giugno 2008 Mario Rigoni Stern se n'è andato per sempre, ma non è scomparso. Quando ci fermiamo a guardare una meraviglia della natura o un suo piccolo fuggevole dettaglio, quando siamo incerti su una decisione che mette in gioco il nostro codice etico, quando ci chiediamo quale sia davvero il senso del nostro vivere inquieto, ricordarlo, rileggere le sue pagine, può farci sentire meno soli. E' questo il suo ultimo dono.

mercoledì 4 gennaio 2017

Le otto montagne

A Natale un libro è sempre un bel regalo, se poi è un romanzo scritto bene, coinvolgente e per di più ambientato in montagna è ancora più bello. Devo questa graditissima lettura a mia moglie che mi ha regalato Le otto montagne di Paolo Cognetti, uscito da poco per Einaudi. Dietro la scelta di questo libro c'è il suggerimento, indiretto, di Francesca Magni che lo ha recensito sul suo blog. Per leggerlo fai clic qui
La lettura è stata affascinante. L'autore racconta in prima persona l'amicizia tra Pietro, suo alter ego, cittadino con genitori appassionati di montagna, e Bruno, figlio di una valle ai piedi del Monte Rosa. I due sono ben diversi, uno cittadino e l'altro montanaro, ma in qualche modo si assomigliano: forse perché il padre di Bruno è semplicemente assente mentre Pietro ha un rapporto difficile con un padre dal carattere taciturno e scontroso. Sarà però la passione per la montagna di questo padre, che diventa una sorta di genitore d'elezione anche per Bruno, a fare incontrare i due ragazzi e sarà la dolcezza e la propensione ai rapporti sociali della madre di Pietro ad accendere l'amicizia tra loro: un'amicizia destinata a durare anche nell'età adulta. C'è però un altro grande protagonista: una montagna vera, aspra e silenziosa, una montagna che odora di terra e risuona delle voci del vento e del torrente, una montagna abitata da larici e abeti, da mucche e camosci; una montagna dove gli alpinisti diretti ai Quattromila del Monte Rosa si fermano ben di rado e dove gli sciatori che affollano le piste di qualche valle più in là appaiono come alieni. I due amici vivono questa montagna dura e solitaria e sarà questa montagna a determinare le scelte della loro vita.
La descrizione della valle e delle cime è precisa, senza enfasi; i dialoghi tra i protagonisti maschili sono scarni, spesso valgono di più le parole non dette; sono le donne a ricucirne le vite. La montagna vista dai viali di Milano è un desiderio, una possibile fuga da una vita in città frustrante; la montagna vissuta però non è una vacanza patinata ma una dura palestra di vita.

Il libro è molto bello e racconta una montagna vera. Mi sembra imperdibile per la nostra biblioteca. Mi sembra doveroso parlarne. Non vorrei essere io, o perlomeno solo io, a farlo. Se qualcuno volesse leggerlo potremmo poi confrontarci sul modo migliore per parlarne ai soci. Se volete curiosare e saperne di più, sul web trovate molte recensioni oltre alla mia e quella di Francesca che vi ho segnalato.